“The lack of emergency,” as Heidegger explained in the late ’30s, “is the greatest where self-certainty has become unsurpassable, where everything is held to be calculable and, above all, where it is decided, without a preceding question, who we are and what we are to do.” [“La mancata emergenza dell’Essere” come Heidegger spiegò alla fine degli anni Trenta “è massima laddove la certezza-di-sé è divenuta insuperabile, dove tutto è definito come calcolabile e, soprattutto, quando viene deciso, senza nemmeno essere interpellati, chi siamo e che cosa faremo] (Santiago Zabala, Out of Network: The Art of Filippo Minelli, in “The New York Times” del 23 aprile 2013)

Filippo Minelli

(Brescia 1983)

è un artista contemporaneo che lavora fra Barcellona e Londra. La sua ricerca riguarda architettura, politica, comunicazione e geografia, che combina nella creazione di installazioni e performance documentate attraverso fotografia e video.

Interessato al paesaggio e agli spazi pubblici, si cimenta inizialmente in interventi istintivi e non autorizzati, che nei primi anni del Duemila lo rendono pioniere in Italia di quella che verrà successivamente chiamata ‘street art’, per poi continuare una ricerca personale fondata sull’estetica della protesta, riportando la politica a una dimensione antropologica e introspettiva attraverso la decontestualizzazione dell’uso di lacrimogeni, rovesciando la funzione delle bandiere e mutuando l’estetica degli slogan di protesta.

La sua attitudine inconsueta alla creazione artistica è stata recensita negli anni da alcuni dei più importanti “media outlet” internazionali come Le Monde, The New York Times, Harpers, Huffington Post ed Al Jazeera. Onomatopee (NL) ha pubblicato nel 2014 una monografia sulla produzione dell’artista.

(Cfr. www.filippominelli.com)

“Cose che hai fatto mentre non c’era la guerra”, questa la suggestione lanciata da Filippo Minelli, artista in residenza per Bandus invitato a Udine dall’associazione ETRARTE.

Una domanda spiazzante, nella sua semplicità. Una chiamata alla partecipazione cui hanno risposto in molti, inviando materiale fotografico e documentativo delle loro memorie private. L’artista ha raccolto questi contributi trasformandoli nel manifesto di una memoria collettiva. Bandiere, striscioni e poster appartengono ad un’estetica della protesta che viene ribaltata e decontestualizzata per creare le condizioni per lo stravolgimento del punto di vista di chi guarda. In questa operazione lo spettatore attiva un processo creativo che gli permette di superare una visione stereotipata, accettando la sfida dell’artista. In questo caso il paradigma da superare è la guerra ed in particolare il modo di percepire la sua assenza, ossia la pace.

“Cose che hai fatto mentre non c’era la guerra” è una provocazione che taglia in maniera trasversale qualsiasi discussione sulla guerra, mettendo in crisi quell’angolo sicuro che è il nostro quotidiano, la cui eccezionalità nascosta si rivela testimoniando la differenza tra la “pace” e l’assenza di “conflitto”.

Alla luce della riflessione indotta da Minelli, ogni scampagnata, ogni festa in parrocchia, ogni pranzo in famiglia assumono un nuovo significato: si tratta di attività, eventi, situazioni, circostanze che abbiamo avuto la possibilità di vivere perché non c’è la guerra. E allora Bandus diventa motivo per riflettere sulla contemporaneità, in una sospensione temporale in cui la memoria del quotidiano diventa un ricordo prezioso.

Bandus ospita non solo l’allestimento di Minelli, che svela le memorie dell’artista unitamente alla memoria collettiva di chi ha partecipato alla “chiamata” inviando immagini, racconti e suggestioni, ma anche le opere di Lara Trevisan, Davide Bevilacqua e Carne, artisti formatisi in regione che hanno sviluppato ulteriori suggestioni visive e sensoriali dialogando con Minelli e con la sua provocazione.

L’invito rivolto allo spettatore è quello di riscoprire queste memorie, trasformate attraverso il filtro spiazzante di questo gruppo di artisti. Utilizzando una piccola pila frontale messa a disposizione dallo staff oppure attivando la luce dello smartphone, l’operazione di ricerca delle opere sarà anche un momento di interazione fra la dimensione intimista e quella collettiva.

 

Elena Tammaro per l’associazione ETRARTE.

www.associazionetrarte.it


 

LARA TREVISAN

è nata a Udine.

La sua formazione ha radici nel suo rapporto con il teatro, da cui si è poi sviluppata una ricerca più ampia, dalla dimensione sonora e alla videoproiezione, attraverso collaborazioni ed esposizioni in Francia e in Italia. Attualmente sta sviluppando dei progetti fotografici di arte urbana e installazioni a grande formato.

Attraverso le installazioni fotografiche propone una veste nuova degli spazi, creando una dimensione decontestualizzante con cui potersi confrontare e interagire.  La fotografia è per lei un gesto teatrale. Atmosfere sospese, movimento, imprecisione, non-definizione imprimono alle fotografie una spinta oltre i limiti della superficie stampata e rimarcano la possibilità, nell’epoca della postproduzione digitale, di una fotografia “fisica”, fatta con il corpo e il movimento.

QUARTO SCENARIO

Progetto site specific per BANDUS

L’uomo consegna l’evoluzione del paesaggio antropizzato alla sola natura che ne riprende il controllo. Questo è lo spazio del futuro, mutante e ricco di biodiversità.  L’operazione dell’artista consiste nell’alterare artificialmente questo ambiente, introducendo pezzi di natura estrapolati per mezzo fotografico dai luoghi della guerra ormai divenuti a loro volta terzo paesaggio. “Do la possibilità ad un quarto scenario di installarsi: una realtà dinamica, mimetizzata, mutante nel tempo poiché in costante evoluzione” dichiara l’artista. Fagocitata, cancellata, questa dimensione si fonderà con la natura e la struttura stessa che la accoglie diventando un tutt’uno in vista di una realtà futura.


Carne

dipinge muri dal 1999.

Nel panorama nazionale, è considerato uno dei pionieri della street art all’interno degli spazi abbandonati.

L’alchimia e l’esoterismo sono la base della sua ricerca artistica e, grazie al forte impatto dei suoi lavori, risulta essere uno dei più interessanti street artist italiani nell’utilizzo della tecnica che predilige, il pasteup.

LA RISALITA

Progetto site specific per BANDUS

Il muro rappresenta la Risalita. Diversamente da altri lavori dell’artista, però, non è una risalita spirituale attraverso l’oscurità introspettiva ed intima. E’ una risalita invece dall’abisso di una tecnologia alienante che non soltanto distrugge ed abbruttisce l’interazione sociale, ma la stessa fisicità delle persone. “Li vedo camminare, mangiare, vivere in queste costanti posizioni ricurve e malsane. Ho scelto questa prospettiva dall’alto per rappresentare non un’osservazione “superiore” di tale alienazione ma la necessità di osservare questa situazione con distacco analitico.” dichiara l’artista. Solo in questo modo è possibile osservare cosa sta accadendo e quanto tutto questo stia abbruttendo le persone non solo dal punto di vista sociologico, ma l’estetica stessa delle persone.


Davide Bevilacqua

è artista e curatore, lavora nell’intersezione tra arte e media, tecnologia e scienza; produce installazioni ed eventi che esplorano le estetiche dell’archeologia dei media e ricerca il punto di incontro tra i mondi del digitale e dell’analogico. Vive e lavora a Linz (AT).

 

La sua ricerca si sviluppa prevalentemente nel mondo dell’elettronica e della programmazione: oggetti, installazioni e performance si basano su lenti processi autonomi che si mostrano nel loro evolversi.  Con le parole dell’artista: “giochi di luce, suono e movimento danno l’impressione che le macchine che produco siano vive, abbiano una intenzione e una memoria, e vogliano comunicare con me”.

NELLE NOTTI D’ESTATE ANDAVO A CACCIA D’INSETTI

Progetto site specific per BANDUS

L’intervento consiste nella produzione di piccoli oggetti sonori, circuiti elettrici dalle sembianze più o meno animali che sono poi distribuiti nello spazio della caserma Osoppo per sostenere il lavoro di riconquista di alberi e piante.

Gli animali elettronici costituiscono la nuova (im)possibile fauna della caserma, nata dalla tecnologia e dall’intervento dell’uomo in uno spazio naturale che sebbene possa essere riconquistato dalla natura non potrà mai cancellare completamente le tracce del proprio passato.

Gli insetti sintetici si mescoleranno a quelli organici, e similmente reagiranno alla presenza dell’uomo, modificando il proprio frinire, squittire e fischiare.

 

Oggetti realizzati assieme a Veronika Krenn, progetto ispirato da Reinhard Gupfinger e Laurent Mignonneau.